MssCol 603/Lettera 18

Sottounità / Unità archivistica
NYPL, Ms. Div., MssCol 603, Registro primo
Regesto veloce

Commendone dà conto dei colloqui avuti con Sigismondo II Augusto riguardo alla nomina dell’arcivescovo di Riga e ad altri uffici ecclesiastici.

Numero documento
18
Estensione materiale
cc. 27v-31v
Destinatario
Borromeo, Carlo
Luogo di redazione
Varsavia
Luogo di ricezione
Roma
Data di redazione
27 febbraio 1564
Edizioni del documento

pubblicata, in traduzione polacca, in Pamiętniki o dawnéj Polsce z czasóv Zygmunta Augusta, obejmujące listy Jana Franciszka Commendoni do Karola Borromeusza, coll. J. Albertrandi, I, Wilno, Drukiem Józefa Zawadzkiego, 1847, pp. 60-67.

Regesto approfondito

Conforme alla commissione ricevuta da Roma in merito alle «nominationi regie alle chiese di questo Regno», Commendone ha trattato con il re della nomina all’arcivescovato di Riga. Sigismondo II Augusto ha infatti deciso di affidarlo al figlio ancora fanciullo di Giovanni Alberto, duca di Meclemburgo-Schwerin, «principe di Germania confessionista», con le seguenti condizioni: il re di Polonia riscuoterà «per più anni» le entrate di quella chiesa, così da rifarsi delle spese per la guerra di Livonia, mentre alcune fortezze e la giurisdizione dell’arcivescovato passeranno alla città di Riga. Molti signori sostengono la richiesta del duca Giovanni Alberto, sia per interessi personali, sia perché sperano così di eliminare «per l’avvenire, con l’esempio del duca, la necessità delle confirmationi della Sede Apostolica onde essi poi potessero similmente havere dal Regno per loro et per gli suoi le chiese di questo Regno ancora che siano apertamente eretici».

Commendone, venuto a conoscenza dell’accordo il 24 febbraio è riuscito a ottenere udienza dal re lo stesso giorno. Dopo aver rammentato che Pio IV aveva deciso di lasciare le nomine dei vescovi ai principi confidando nel loro zelo religioso, Commendone ha informato il sovrano di essere stato incaricato di trattare la questione delle nomine regie alle chiese del Regno e si è soffermato a lungo sulla nomina dell’arcivescovo di Riga.

Il re non ha negato il suo proposito e ha insistito sulle forti necessità finanziarie conseguenti alla guerra di Livonia. Il duca di Meclemburgo-Schwerin, cognato di Alberto di Hohenzollern duca di Prussia, avrebbe investito facilmente mezzi e uomini nella difesa di quei territori. Non poteva poi fare a meno di affidare quella chiesa a un tedesco «sì per cagione della lingua et sì per rispetto di non offender tanto più la natione alemana, la quale pretende la Livonia esser sua». Ha aggiunto che anche altri erano stati dispensati per l’età, come ad esempio Alberto di Hohenzollern, figlio dell’elettore di Brandeburgo, al quale, sedicenne, erano stati attribuiti l’arcivescovato di Magdeburgo e l’amministrazione del vescovato di Halberstadt. Oltretutto – ha osservato il sovrano – la Livonia era da anni «alienata dalla religione catholica», sicchè la concessione dell’arcivescovato di Riga sarebbe durata solo in vita del giovanissimo titolare.

Commendone ha replicato che «quanto più quel paese era infetto, tanto più conveniva provederle di pastore et tosto et bene et che, per desperata infirmità che habbiano figlioli, non devono i padri lasciar la cura loro né abbandonarli, che di simili infirmità d’heresia non more se non chi vuole et però non conviene di haver mai la cura per disperata». Ha quindi invitato il sovrano a considerare le conseguenze della nomina a quella diocesi, da parte di un principe cristiano, di un bambino di due anni, figlio di un «manifestissimo confessionista», che stupirebbe gli stessi eretici.

Quanto agli aspetti politici e militari, Commendone ha sottolineato che non è opportuno affidare una provincia «nuovamente acquistata da Sua Maestà ad uno che havesse il padre et l’avo materno et il zio principi così vicini e tutti di natione thedesca». A questo proposito ha fatto riferimento a Gotthard Kettler, ultimo gran maestro di Livonia, che ha occupato parte del ducato di Livonia e si fregia del nome di duca, dopo aver anche sposato una sorella del duca di Meclemburgo-Schwerin. Alla domanda se avrebbe concesso la città di Riga e le altre fortezze allo stesso arcivescovo, il re ha risposto di no. Commendone ha allora aggiunto che il sovrano avrebbe dovuto difendere quelle fortezze come e più di prima, ricordando anche il duca Cristoforo, coadiutore dell’arcivescovo di Riga e fratello di Giovanni Alberto duca di Meclemburgo-Schwerin, imprigionato con l’accusa di avere un’intesa con Erik XIV Vasa, re di Svezia, nemico della Polonia, senza contare le ambizioni del duca di Prussia su Riga. Era quindi necessario evitare concessioni a quella casata, dalle quali il sovrano avrebbe ricevuto più danno che beneficio. Per rispetto ai suoi vassalli era opportuno che il re scegliesse un cattolico di lingua tedesca, «procurando insieme d’impetrar qualche concessione da Nostro Signore per tener giustamente quelle fortezze che Sua Maestà desidera per diffesa di quelle frontiere, perché ben sapeva Sua Maestà che tutte le consignationi et divisioni di beni et dominii di Livonia fra gli prelati et cavallieri erano sempre fatte dalla Sede Apostolica».

Il sovrano ha allora interrotto Commendone, affermando di non aver in mente altro che di ottenere un breve papale che costituisca i re di Polonia protettori delle chiese di Livonia. Ben conscio del fatto che la progettata nomina all’arcivescovato di Riga avrebbe creato scandalo, non saprebbe però come altro procedere qualora il Senato non approvi l’unione di Polonia e Livonia. Commendone ha ribadito la pericolosità di quella scelta, al che il re si è preso del tempo per una risposta al papa, ribadendo che il suo unico desiderio era quello di incorporare la Livonia alla Polonia.

Commendone è poi passato alla vicenda di Mikołaj Pac, nominato vescovo di Kiev grazie alla protezione di Mikołaj Radziwiłł, palatino di Vilna, «non solo senza essersi mai consecrato ma con far pubblica professione […] di heretico trinitario». Attualmente si trova a Varsavia come inviato lituano per discutere dell’unione tra Polonia e Lituania e occorrerà evitare che, realizzandosi l’unione, Pac sia ammesso come vescovo al Senato polacco. Il re si è impegnato a intervenire affinché lasci il vescovato.

Commendone ha poi ribadito la necessità di affidare gli uffici pubblici solo ai cattolici, sottolineando i danni della presenza di eretici in Senato «e quanta occasione si dia a molti di accostarsi a li heretici perché vedono che non solo per questa heresia non era tolto loro la speranza delle dignità ma più tosto accresciuta per gli incredibili favori che gli heretici danno et procurano alli loro settari».

Riguardo alla questione dei beni di Bona Sforza, il sovrano si è lamentato della lentezza con cui procede la causa, e ha detto di sperare nel sostegno del pontefice. Commendone ha replicato che Pio IV, malgrado la sua buona volontà, esita a spendersi con l’imperatore e il re di Spagna per varie ragioni, a cominciare dai decreti di Petricovia. Se il sovrano mostrerà, nella Dieta, la «buona mente sua», il papa si assumerà la «protettione di questa causa».

Il giorno dopo l’udienza Sigismondo ha rifiutato di ricevere il duca di Meclemburgo. Commendone ha accettato di incontrare alcuni consiglieri del duca; cerca frattanto di accertare se il re possiede lo ius nominandi «perciò che questo è nuovo suo acquisto fatto nell’ultima sede vacante».

Circa i contrasti tra i vescovi, Commendone ha scritto anche a Stanislao Hosius, vescovo di Varmia, e continuerà a tenere una corrispondenza con quest’ultimo fino a quando non riuscirà a raggiungerlo in Varmia, dato che non può lasciare al momento la Dieta.

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