MssCol 603/Lettera 85

Sottounità / Unità archivistica
NYPL, Ms. Div., MssCol 603, Registro quarto
Regesto veloce

Commendone informa sull’udienza avuta da Sigismondo II Augusto riguardo al suo possibile divorzio.

Numero documento
85
Estensione materiale
cc. 5v-9v
Destinatario
Borromeo, Carlo
Luogo di redazione
Petricovia
Luogo di ricezione
Roma
Data di redazione
31 gennaio 1565
Edizioni del documento

Pubblicata, in traduzione polacca, in Pamiętniki o dawnéj Polsce z czasóv Zygmunta Augusta, obejmujące listy Jana Franciszka Commendoni do Karola Borromeusza, coll. J. Albertrandi, II, Wilno, Drukiem Józefa Zawadzkiego, 1851, pp. 38-46

Regesto approfondito

Il sovrano, molto turbato, ha comunicato a Commendone che aveva prima pensato di discutere del divorzio in occasione del concilio provinciale, per trattarne poi nella Dieta. L’incalzare degli eventi lo ha però convinto ad affrontare ora l’argomento.

Si è detto a conoscenza della proposta dei nunzi – che non ha biasimato – e delle voci secondo cui egli stesso avrebbe spinto i nunzi ad avanzarla e avrebbe fomentato Giovanni Sigismondo Szapolyai allo scopo di tenere Massimiliano II occupato. Ha ammesso che molti giudicano il suo matrimonio illecito, «in sì stretto grado d’affinità» e per via del «mal caduco» di Caterina d’Asburgo, sicché intende divorziare e prendere un’altra moglie con cui avere dei figli per il bene del Regno.

Commmendone, preoccupato della risolutezza del re e di come l’affare del divorzio sia andato avanti, malgrado i suoi sforzi per fermarlo, ha replicato accusando anzitutto i nunzi della nobiltà di aver offeso il re con la loro richiesta pubblica; ha dichiarato di non aver compreso per quale motivo gli stessi nunzi, «non contenti del presente perturbatissimo stato del Regno, vogliano mover nuovi romori», creando dissidi con tedeschi e ungheresi, suscitando malcontento in Prussia intorno alla restituzione dei beni regi.

Ha aggiunto che accogliere la richiesta da loro avanzata avrebbe senz’altro generato disordini in quanto i nunzi non avevano ricevuto alcun mandato in merito dalle Dietine.

Commendone ha inoltre messo in guardia il sovrano dai consiglieri che, «sotto pretesto della coscienza, conturbano l’anima del principe».

Riguardo all’illiceità del matrimonio, ha sottolineato come il capitolo 18 del Levitico non sia stato messo in discussione né dai cattolici né dagli eretici, «perché appresso gli heretici, che non admetton se non verbum expressum, un tal matrimonio non è pur proibito, né ch’habbia bisogno d’alcuna dispensa, et appresso gli catholici gli è già stato tolto con la dispensa quel solo impedimento il quale gli era prima stato posto con la prohibitione della Chiesa et si ritorna lecito et legitimo matrimonio». Ha osservato quindi che il «mal caduco» non è né perpetuo né contagioso, e il sacramento del matrimonio, come scrive S. Paolo, raddoppia «così li commodi come gl’incommodi»; ha perciò invitato il re a esaminare attentamente il settimo capitolo della prima lettera ai Corinzi, ricordando quanto avvenuto in Inghilterra e tenendo presente come Dio sia un giudice severo con chi governa.

Sigismondo ha seguito il discorso di Commendone «con frequenti sospiri et lagrime ancora». «Ben profetò – ha aggiunto –il pontefice il qual mi dispensò [Giulio III] che non me ne sarei mai veduto contento», con riferimento alle resistenze del papa alla concessione e agli «infelici essempi di Inghilterra et di Portogallo [verosimilmente si riferisce al caso di Alfonso V]. Il sovrano, pur fermo nella volontà di sciogliere il suo matrimonio, ha affermato che se ciò non sarà possibile si rassegnerà e ordinerà ai senatori di non rispondere ai nunzi della nobiltà. Commendone lo ha rassicurato sulla sua disponibilità a discutere nuovamente la questione.

«Cifra»

I termini utilizzati dal re confermano che l’istanza dei nunzi della nobiltà è stata ispirata da lui.

Commendone chiede istruzioni, dopo che a Roma si sarà fatto «secretamente un poco di consiglio sopra ciò et […] le cose d’Inghilterra». Ha sempre tenute presenti, nel dialogo con il sovrano, le parole della regina Maria Tudor «che il re suo padre [Enrico VIII] non sarebbe mai scorso tanto inanzi se non fossero state le speranze che falsamente da principio li furono date da persone che cercaron di far mercantia». Teme d’altra parte «il pericolo che porta l’opporsi molto a cosa tanto desiderata […] dal re in sì miseri tempi et in tanta inclinatione di questo Regno a far uno scisma».

Piotr Myszkowski, vicecancelliere di Polonia, e Martin Cromer hanno riferito a Commendone che i principali istigatori del divorzio sarebbero di Jakub Uchański, arcivescovo di Gnesna, e Filip Padniewski, vescovo di Cracovia, anche se mancano in proposito riscontri certi.

Commendone cercherà ora di «ritener almeno il corso» della questione e conferma il suo impegno contro qualsiasi offerta del re, consapevole dei danni che possono derivare alla Sede Apostolica dall’eccessiva fiducia riposta nei principi dai nunzi pontifici. «Sta alhora indarno la sapientia et la bontà di papa, non essendo loro scritto il vero o non in tempo, con gli quali disordini principalmente s’è condotta la Chiesa et la religione catholica ad un pericoloso precipitio, et l’imperfettione degli huomini è tale che molti si mettono volentieri per quella strada per la quale veggono altri riuscir».

Note libere

Testo cifrato reso in chiaro dal copista cinquecentesco.