MssCol 603/Lettera 116

Sottounità / Unità archivistica
NYPL, Ms. Div., MssCol 603, Registro quinto
Regesto veloce

Commendone aggiorna nuovamente sulle discussioni in Senato riguardo alla giurisdizione ecclesiastica.

Numero documento
116
Estensione materiale
cc. 10v-11v
Destinatario
Borromeo, Carlo
Luogo di redazione
Petricovia
Luogo di ricezione
Roma
Data di redazione
1 aprile 1565
Edizioni del documento

Pubblicata, in traduzione polacca, in Pamiętniki o dawnéj Polsce z czasóv Zygmunta Augusta, obejmujące listy Jana Franciszka Commendoni do Karola Borromeusza, coll. J. Albertrandi, II, Wilno, Drukiem Józefa Zawadzkiego, 1851, pp. 139-141     

Regesto approfondito

Oggi in Senato Sigismondo II Augusto ha proposto di confermare il decreto di Petricovia con la clausola «salvo tamen iure Dominorum spiritualium, in his qua mere sunt spiritualia». A tale formulazione si sono però opposti sia gli ecclesiastici che i nunzi della nobiltà, i quali hanno dichiarato che in questo modo si confermerebbe «di nuovo la giurisditione spirituale, esser assai chiaro quante cose sieno già dichiarate spirituali per gli statuti del Regno, et principalmente crimen haeresis, onde venivano a condursi più che mai in servitù». Così neppure oggi è stata presa alcuna decisione.

Dopo il Senato i nunzi della nobiltà hanno deliberato che partiranno «senza contribuzione et risolutione alcuna» se non verrà approvato un decreto «nuovo et espresso» che li liberi definitivamente dalla giurisdizione dei vescovi. I nunzi cattolici non si sono opposti a questa decisione; Commendone sospetta che tutti temano la disposizione del concilio di Trento che autorizza a procedere contro gli «scommunicati per cagione delle decime» come «contra suspectos de haeresi». Ciò consentirebbe ai vescovi di perseguirli e di costringerli a pagare, «il qual rispetto ci potria forse far perdere qualche senatore, seben fin hoggi n’habbiamo quattro soli contrarii».

 «Cifra»

I nunzi della nobiltà eretici hanno riproposto l’istanza al re affinché non solo torni a coabitare con Caterina d’Asburgo, «ma la tratti in tutto da moglie», solo per «condur il re alle lor voglie», consapevoli di quanto aborrisca la consorte. Frattanto il loro capo lascia intendere al sovrano che, se sosterrà le loro richieste, i nunzi approveranno il divorzio. I nunzi tentano così di impedire il viaggio del sovrano in Lituania, sapendo bene che è una scusa per non rispondere sulla questione del matrimonio agli inviati di Massimiliano II.

Molti senatori finiranno per ritirarsi «dalla diffesa del clero» per non urtarsi con i nunzi e nella speranza di ritardare il recupero dei beni regi durante il viaggio del sovrano in Lituania. Sigismondo è così preso da «questo suo affetto di non star con la regina, che pospone ogni altra cosa».

«Han trovato costoro la tarantola del re, et io temo che gli vescovi sian per perdere qualunque pugna pigliaranno con costoro. Mossero i vescovi questi scrupuli del divortio al re, et gli heretici ne godon hora il frutto, et essi vescovi patiscono giustamente la pena del perverso loro consiglio».

Note libere

Testo cifrato reso in chiaro dal copista cinquecentesco.