MssCol 603/Lettera 9
- Sottounità / Unità archivistica
- NYPL, Ms. Div., MssCol 603, Registro primo
- Regesto veloce
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Commendone dà conto dell’udienza avuta da Sigismondo II Augusto, con il quale ha discusso dei decreti della Dieta di Petricovia. Informa sulla situazione religiosa in Polonia e sulle preoccupazioni dei vescovi riguardo ad alcune disposizioni del concilio di Trento.
- Tipologia
- it lettera in registro copialettere
- Numero documento
- 9
- Estensione materiale
- cc. 8[9]r -13r
- Mittente
- Commendone, Giovanni Francesco
- Destinatario
- Borromeo, Carlo
- Luogo di redazione
- Varsavia
- Luogo di ricezione
- Roma
- Data di redazione
- 3 gennaio 1564
- Edizioni del documento
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pubblicata in Pamiętniki o dawnéj Polsce z czasóv Zygmunta Augusta, obejmujące listy Jana Franciszka Commendoni do Karola Borromeusza, coll. J. Albertrandi, I, Wilno, Drukiem Józefa Zawadzkiego, 1847, pp. 19-27 (in traduzione polacca); parzialmente in Historica Russiae Monimenta ex antiquis exterarum gentium archivis et bibliothecis deprompta, ed. A.I. Turgenev, I, Petropoli, typis E. Pratzi, 1841, p. 199.
- Regesto approfondito
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Non appena Commendone è arrivato a Varsavia, gli hanno fatto visita a nome del re, Wojciech Sobiejuski, vescovo di Chelma, Arnolf Uchański, palatino di Plozca, e altri personaggi di rilievo.
Jakub Uchański, arcivescovo di Gnesna, e Filip Padniewski, vescovo di Cracovia, hanno poi deciso che Commendone avrebbe avuto un’udienza privata con Sigismondo II Augusto, il quale gli avrebbe quindi concesso udienza pubblica. Il primo gennaio Commendone è stato così accompagnato alla prima udienza privata dal vescovo di Chelma, da Jan z Gulczewa, palatino di Rava, e da Stanisław Lawski, palatino di Masovia.
Nel suo discorso al re, Commendone ha auspicato che il re sia degno erede delle virtù dei suoi progenitori, in particolare di re Ladislao, che aveva combattuto «la setta degli hussiti», nata in Boemia. Ha quindi evocato le recenti ribellioni «suscitate a’ nostri dì nella medesima Boemia et ne li Regni di Dania, di Svetia et d’Ingelterra et ultimamente di Francia e tutto sotto pretesto et con occasione di novità di religione, ma in verità con fine d’occupar l’altrui, di viver licentiosamente senza lege, senza ordine, senza principe, senza Dio, aspirando anco et dissegnando con tal mezzo la strada alla tyrannide». Sei anni prima Sigismondo si era mostrato pio e prudente, promulgando a Varsavia un editto a difesa della fede cattolica, sicché Pio IV si augurava che facesse altrettanto ora che le eresie e gli attacchi al clero si andavano moltiplicando, anche a causa della cattiva interpretazione degli ultimi decreti di Petricovia. Commendone ha concluso la sua orazione offrendo tutto il sostegno del papa per il bene del sovrano e del suo Regno.
Il sovrano ha ringraziato il pontefice e ha ammesso che i disordini sono andati troppo avanti, rischiando di mandare in rovina il Regno. Si è detto disposto a discuterne con il nunzio pontificio, eventualmente durante un’udienza pubblica, sulla data della quale lo informerà tramite il vicecancelliere di Polonia Piotr Myszkowski.
Commendone ha affrontato poi le quotidiane risoluzioni prese nel Senato contro ospedali, scuole e collegi di preti cattolici, dei quali, fuori del Regno, si diceva che il re stesse confiscando i beni. Il sovrano ha promesso di provvedere. Commendone si è congedato mentre si faceva già notte.
Il re appare consapevole dei pericoli incombenti sul Regno e del fatto che si può aiutare solo con il sostegno dei prelati polacchi, i quali però sembrano tutt’altro che uniti. Commendone non ha ancora consegnato loro il breve di Pio IV «sopra questo dissidio» perché non sa ancora se quel documento appianerà o acuirà le tensioni tra loro. In ogni caso «in questa unione o disunione di vescovi consiste la piega di tutto questo negozio et di qua dipende in gran parte la salute e la rovina et lo confessano essi stessi, ma ciascuno n’incolpa gli altri».
Riguardo al decreto di Petricovia che lede la giurisdizione ecclesiastica, Commendone ritiene che possa essere interpretato in altro modo e che quella invalsa non fosse l’intenzione del decreto; si atterrà a questa posizione per non mettere il sovrano nella difficoltà di annullare una legge da lui promulgata. Ha comunque insistito con il re perché trovi un rimedio opportuno.
Commendone sollecita informazioni sulle voci circolanti di una vendita di beni ecclesiastici per un valore di un milione d’oro che sarebbe stata decisa in Francia, con il consenso del papa.
Passa quindi a descrivere lo stato della religione in Polonia. Come si sarà già appreso a Roma dalle relazioni del nunzio Bongiovanni, le sette si moltiplicano e oltre a molti calvinisti vi sono ariani e «trinitarii», questi ultimi guidati da Mikołaj Radziwiłł, palatino di Vilna.
I decreti della sessione ottava del concilio di Trento, non appena arrivati in città, si sono diffusi «per tutta la corte». «Li canoni della riforma pungono molti i quali apertamente dicono che non si potranno mettere in essecutione in questo Regno»», in particolare l’obbligo di residenza dei canonici e dei prepositi e il divieto del cumulo di benefici, stanti i quali - si dice - i nobili rifuggiranno dallo stato ecclesiastico. Costretti a tenere solo un beneficio, forzati alla residenza, finiranno – si paventa - per lasciare l’obbedienza cattolica, magari tenendosi i benefici. Gli ecclesiastici polacchi, compreso il vescovo di Cracovia, ritengono che tali regole siano contrarie agli interessi del clero; l’arcivescovo di Gnesna ha mostrato invece di approvare quei decreti. Commendone, che cerca di non esarcerbare gli animi, sottolinea che in generale gli ecclesiastici «tengono questa riforma per una essecutione contra il clero, simile a quella che il re fa nei presenti comitii contra gli possessori di beni regi».
Su quest’ultimo punto gli inviati di Prussia alla Dieta hanno formalmente protestato, presentando una scrittura contro il recupero da parte del re dei beni della Corona.
Si attende l’arrivo degli ambasciatori polacchi in Russia per sapere se sarà o meno confermata la tregua con Ivan IV e l’esercito polacco è schierato sui confini. Frattanto Solimano I e il «Tartaro procopiense» [Devlet I Giray, khān di Crimea] premono, attraverso i propri inviati a Varsavia, perché il sovrano polacco non faccia alcuna tregua con lo zar e gli offrono 40.000 cavalieri. L’alleanza tra il re polacco e Federico II re di Danimarca e Norvegia è in bilico perché i danesi non vogliono essere obbligati a intervenire contro Ivan IV, così come i polacchi rifiutano di sostenere i danesi contro Ferdinando I d’Asburgo e contro i principi tedeschi.
«Cifra»
È stato intercettato un breve del papa a Ivan IV «con alcune cifre». Il tutto è ora nelle mani del sovrano, che pare sia molto alterato. Commendone chiede istruzioni nel caso il re lo interpelli al riguardo; teme infatti che la cifra sia un semplice alfabeto. Dopo l’episodio il sovrano sembra meno incline a difendere gli interessi ecclesiastici nella Dieta, mentre gli eretici affermano di aver ottenuto la promessa di un loro concilio nazionale e l’arcivescovo riferisce che il sovrano avrebbe disposto che si tratti «prima della fede» e solo in un secondo momento di giurisdizione e beni ecclesiastici.
Sigismondo ritiene che vi siano molte entrate ecclesiastiche inutili; non mancano poi coloro che lo spingono a «voltarsi ai beni ecclesiastici» per mitigare gli effetti del recupero dei beni alienati ai laici dalla Corona.
Poiché il re, nelle udienze private, dichiara di non poter accettare richieste che non siano state prima esposte pubblicamente in Senato, Commendone gli ha chiesto chiarimenti in proposito. Dopo qualche esitazione, Sigismondo ha risposto che valuterà se concedergli un’udienza pubblica.
Il sovrano, che «teme et abhorrisce grandemente l’armi», pare essere stato toccato in particolare da tre rilievi contenuti nel discorso di Commendone. Il primo: che i colloqui di Poissy sono stati all’origine degli scontri religiosi in Francia; il secondo: che gli ugonotti intendono «ridur la Francia a cantoni quale è il governo d’i svizzeri et che nel convento loro di Chialon espressamente concludessero esser necessario di estinguere tre tirannidi, come essi chiamano, del Pontefice, de’ Magistrati, della Nobiltà, secondo che già era stato effettuato in Genevra»; il terzo: «che questi tali heretici non si contentano mancho che sia loro permesso di viver a modo loro, perché […] hanno ogni loro mira in terra et in ogni modo vogliono mutationi di stato et tale ancora per sì fatti mezzi aspira al principato».