MssCol 603/Lettera 13
- Sottounità / Unità archivistica
- NYPL, Ms. Div., MssCol 603, Registro primo
- Regesto veloce
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Commendone dà conto delle reazioni dei vescovi alle sue sollecitazioni, delle trattative per l’unione tra Polonia e Lituania e delle mosse degli eretici. Informa inoltre con allarme su progetti per un concilio nazionale che avrebbero l’avallo del re.
- Tipologia
- it lettera in registro copialettere
- Numero documento
- 13
- Estensione materiale
- cc. 16v-21r
- Mittente
- Commendone, Giovanni Francesco
- Destinatario
- Borromeo, Carlo
- Luogo di redazione
- Varsavia
- Luogo di ricezione
- Roma
- Data di redazione
- 24 gennaio 1564
- Edizioni del documento
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pubblicata in Pamiętniki o dawnéj Polsce z czasóv Zygmunta Augusta, obejmujące listy Jana Franciszka Commendoni do Karola Borromeusza, coll. J. Albertrandi, I, Wilno, Drukiem Józefa Zawadzkiego, 1847, pp. 36-45 (in traduzione polacca); parzialmente in Historica Russiae Monimenta ex antiquis exterarum gentium archivis et bibliothecis deprompta, ed. A.I. Turgenev, I, Petropoli, typis E. Pratzi, 1841, p. 200.
- Regesto approfondito
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L’altro ieri i vescovi si sono riuniti per formulare delle risposte alle sollecitazioni rivolte loro da Commendone. Jakub Uchański, arcivescovo di Gnesna, a nome di tutti, ha ringraziato il papa per la «paterna protettione» nei confronti dei vescovi. Ha chiesto che Commendone faccia istanza a Sigismondo II Augusto per la restituzione della giurisdizione sottratta loro nella Dieta di Petricovia del 1563, in seguito alla quale hanno perso gran parte delle decime loro spettanti, e per l’esecuzione dell’editto di Varsavia del 1557, emanato mentre era nunzio Luigi Lippomano. Nonostante i tentativi di Uchański di introdurre la questione dei decreti del concilio tridentino, i vescovi ritengono che non convenga pensarvi prima d’aver reintegrato «le chiese nel stato che erano inanzi la Dieta di Petricovia». Commendone si è impegnato a rinnovare le loro istanze al re e ha esortato i vescovi a fare altrettanto. Oggi Uchański ha annunciato che i vescovi chiederanno udienza al re non appena si sarà ristabilito dalla gotta. Riguardo ai decreti del concilio di Trento, Commendone ha dichiarato di non avere ancora commissioni in merito.
Continuano le discussioni tra i senatori deputati a trattare la restituzione dei beni regi alienati dalla Corona, mentre gli inviati della Prussia proseguono nella loro opposizione.
L’unione tra Polonia e Lituania potrebbe dirsi già conclusa se non fosse per la resistenza dei nunzi della nobiltà. Dal regno di Sigismondo I in poi questi hanno acquisito tale autorità che «sono più che tribuni, et vogliono a modo loro ogni cosa» e hanno posto sull’unione molte condizioni alle quali gli inviati lituani non vogliono consentire, non avendo ricevuto facoltà «da li Stati di Lithuania», malgrado il pericolo della guerra contro Ivan IV. I lituani propongono quindi che si faccia l’unione, ma che si rinviino i punti controversi a una prossima Dieta, per affrontare ora insieme il comune pericolo della guerra.
Nella Dieta, come Commendone ha riferito nelle lettere precedenti, non si tratterà di religione fino a quando non si definiranno i punti della restituzione dei beni regi e dell’unione con la Lituania. «Non è però casa, né convito, né compagnia, né luogho, né tempo nel quale non si ragioni et si disputi della religione con suscitar di continovo nove opinioni et contese. È venuta la cosa a tanto che pubblicamente, in casa del palatino di Vilna [Mikołaj Radziwiłł] un Thomaso suo predicatore [Tomas Sokołowicz, detto Falconius] tiene et insegna che ciascuno ha da credere secondo che da se stesso intende le sacre scritture et che non si devono ascoltare l’interpretationi degl’huomini, et di continovo allega Hic est filius meus dilectus ipsum audite […] et così molti diventano enthusiasti; non è horamai chimera così strana che non trovi in questo Regno authore et seguito». Nell’esercito polacco in Lituania c’è un solo prete che assiste il capitano generale. Da quella regione arrivano quasi ogni giorno notizie di chiese profanate «et si caccia, si dissimula et non vi si ripara».
«I fogli contra la Santissima Trinità infine furon levati et non si vendono più, ma non sono già cessate le prediche loro in casa di loro protettori. Domenica passata in casa del castellano di Sandomiria [Stanisław Myszkowski] si congregorno i capi de’ calvinisti et de’ trinitarii per trovar qualche forma di concordarsi fra loro, ma se ne partirono più discordi che prima, in questo solo sono congiontissimi di abbassar et d’estinguer la fede catholica». Melchior Mościcki, provinciale domenicano, predica «con molto concorso et dicono che fa buon frutto» nella «chiesa maggiore di questa terra». Ha chiesto a Commendone conferma della licenza di leggere libri proibiti, già concessagli dal nunzio Bongiovanni. Non possedendo tale facoltà, Commendone domanda a Roma di accogliere la richiesta del frate «perché è huomo di molta bontà e dottrina et qui è necessario che persone tali habbiano facultà di legger i libri degl’avversarii». Approfitta per supplicare ancora il Borromeo di procurargli «licentia per quelli che sono meco et dell’opera de’ quali m’è necessario di valermi acciò che potessero et leggere et copiare cose de’ heretici nel medesimo modo che hebbi ne l’altra mia nunciatura di Germania».
Non è ancora giunta la notizia dell’arrivo a destinazione di Stanislao Hosius, vescovo di Varmia, diretto nella sua diocesi attraverso la Polonia maggiore.
Walenty Herburt, vescovo di Premislia, già inviato del re al concilio di Trento, «persona di sincerissima mente nelle cose della religione», è tornato da poco a Varsavia ma vuole già lasciare la città, nonostante gli inviti di Commendone a restare, per «la molta carestia ch’è qui et sì per non poter sopportar questi andamenti».
Segue trascrizione di stralci di avvisi non datati sull’avanzata dei moscoviti, sui dissensi tra i capi dell’esercito polacco, sulla situazione in Valacchia (intendendo Moldavia) e ai confini tra la Polonia e l’Ungheria.
Commendone riporta inoltre la notizia dell’arrivo in Polonia di una legazione di Massimiliano II, re dei Romani.
«Cifra»
Si discute segretamente di un concilio nazionale. È possibile che la minaccia della guerra contro lo zar lo impedisca, ma «certa è la rabbia delli heretici et l’inclinatione di certi neutrali che vorrebbono pur fare sue misture et accordi di religione». Gli eretici avevano già cercato di ottenere il consenso di Sigismondo alla convocazione del concilio, dandogli speranza che, in quella sede, avrebbe potuto far dichiarare illegittimo il suo matrimonio con Caterina d’Asburgo, secondo l’intenzione già espressa dal re nella Dieta di Petricovia. «Hora maggiormente gli pongono inanti il quarto canone della riforma del matrimonio fatto in Trento, torcendolo a suo proposito». Uchański ha riferito a Commendone d’esser stato interrogato dal re sull’interpretazione di quel canone e d’aver risposto che lo intende secondo il suo significato letterale. Commendone ha dato mostra all’arcivescovo di interpretare in bene la sua risposta al re, in quanto nel canone non si fa menzione di casi in passato dispensati dalla Santa Sede. Ma si rammarica che il re sia stato lasciato nell’opinione che il concilio di Trento «non solo habbia escluso in posterum le dispensazioni in primo ma supposto che questo grado sia assolutamente indispensabile». Ha perciò ricordato all’arcivescovo il caso di Enrico VIII, persuaso da Thomas Wolsey di poter ottenere il divorzio da Caterina d’Aragona con conseguente rovina dello stesso Wolsey «et di tutti i suoi».
Uchański ha approvato i rilievi di Commendone e ha condannato i progetti per la convocazione di un concilio nazionale, ma da tali progetti non pare essere «tanto alieno», dato che ha «senza dubbio grand’inclinazione al calice et ne parla volentieri». Va dicendo inoltre che Sigismondo «si duole che isti articoli qui sunt quasi connaturales a queste provincie non siano stati liberamente conceduti ma rimessi a Sua Santità et che, dall’altra parte, è persuaso che in più articoli il medesimo concilio di Trento habbia determinato secondo la confessione augustana, benché con termini scolastici et non così intellegibili come usano gli confessionisti». Già due volte poi Uchański ha riferito a Commendone che il sovrano «non tiene i confessionisti per heretici, le quali cose, quando bene non fussero vere, a me pare che sia punto di gran considerazione che il primate di questo Regno l’affermi et l’affermi a me et a questo tempo, specialmente circa il concilio nazionale». Lo stesso arcivescovo ha comunicato a Commendone che Sigismondo desidera trovare una via per giungere a «una concordia nella religione», e che ritiene necessario, prima di trattare della giurisdizione dei vescovi in Polonia, discutere di religione, «accennando quasi un concilio nazionale», del quale peraltro i nunzi della nobiltà eretici dicono d’aver «ferma promessa dal re». Non manca infine chi vuole servirsi del decreto tridentino de provincialibus conciliis intra annum convocandis, «perché basta a li heretici che si principii, con qualunque titulo, et convocato che sia vi verranno et senza dubbio vi haveranno gran parte». Occorre quindi impedire con ogni mezzo la convocazione.
Per evitare le conseguenze che tali disegni potrebbero causare in aree «grandemente inferme quale è questa», Commendone auspica che il papa - oltre a quanto già statuito nell’ultima sessione del concilio di Trento - «dichiarasse et comettesse nella medesima approbazione del Concilio ovvero in bolla a parte che dove sono seditioni et sollevationi de heretici tre mesi prima che si congregi il concilio provinciale sieno in effetto accettati et esseguiti i decreti in Trento dagli prelati e dal principe di quella provincia». Per la Polonia tale disposizione dovrà essere eseguita quanto prima anche se i vescovi e il re non la approveranno facilmente.
Quanto all’arcivescovo, «non sarebbe se non a proposito» che Borromeo mostrasse, in un capitolo delle sue lettere, che Commendone lo apprezza e che il papa ne ha una buona opinione. È necessario non allontanarlo.
I vescovi polacchi chiedono solo che il papa li aiuti a mantenere le loro entrate e si curano poco del resto. Sostengono che l’arcivescovo li ostacola per suoi interessi personali e che vuole introdurre novità; lo accusano di essere stato il principale responsabile delle limitazioni alla giurisdizione ecclesiastica imposte nella Dieta di Petricovia e di voler approfittare dei decreti del concilio di Trento per togliere ai prelati i loro benefici ecclesiastici. Tra questi vescovi non c’è «confidenza né amore» e «quello che fanno unitamente è tutto cerimonia». Ognuno pensa a sé stesso, «con poco zelo di beneficio publico, tal che io sono talvolta forzato a credere che coloro appunto che hanno mostrato maggiore desiderio che qui venisse un noncio non habbiano havuto altra intentione che di mostrar che la colpa di quanto male qui potesse succedere non fusse loro, ma di Nostro Signore che, avvisato in tempo, non havesse voluto mandar qui un noncio come essi tenevano per fermo che non lo dovesse mandare».
Commendone chiede che il papa venga puntualmente informato sulla situazione polacca e che Borromeo gli trasmetta ordini sul da farsi. Non scrive altro, essendo costretto a rendere tali informazioni in cifra per le disastrose conseguenze che intercettazione delle sue lettere potrebbe avere. Comunica infine che vedrà il re non appena questi sarà guarito.
- Note libere
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Testo cifrato reso in chiaro dal copista cinquecentesco.
- Personaggi rilevanti
- Bongiovanni, Berardo
- Caterina d’Aragona
- Caterina d’Asburgo
- Enrico VIII Tudor
- Herburt, Walenty
- Hosius, Stanislao
- Ivan IV
- Lippomano, Luigi
- Mościcki, Melchior
- Myszkowski, Stanisław
- Pio IV
- Radziwiłł, Mikołaj
- Sigismondo I Jagellone
- Sołowicz, Tomasz
- Uchański, Jakub
- Wolsey, Thomas
- Luoghi rilevanti
- Petricovia