MssCol 603/Lettera 24

Sottounità / Unità archivistica
NYPL, Ms. Div., MssCol 603, Registro primo
Regesto veloce

Commendone riferisce le discussioni in Senato sulla proposta di obbligare gli ecclesiastici a documentare i loro privilegi e immunità; dà conto inoltre dell’udienza avuta da Sigismondo II Augusto su questa e altre questioni (esecuzione dell’editto di Varsavia del 1557; correzione dei decreti di Petricovia; possibilità dell’ingresso in Polonia di Bernardino Ochino).

Numero documento
24
Estensione materiale
cc. 39r-43v
Destinatario
Borromeo, Carlo
Luogo di redazione
Varsavia
Luogo di ricezione
Roma
Data di redazione
22 marzo 1564
Edizioni del documento

pubblicata, in traduzione polacca, in Pamiętniki o dawnéj Polsce z czasóv Zygmunta Augusta, obejmujące listy Jana Franciszka Commendoni do Karola Borromeusza, coll. J. Albertrandi, I, Wilno, Drukiem Józefa Zawadzkiego, 1847, pp. 84-95.

Regesto approfondito

Commendone conferma la ricezione delle lettere di Borromeo del 5 e del 15 febbraio; ritiene che, se il cardinale non ha ancora ricevuto le sue, ciò sia dovuto alla «mutatione» del maestro delle poste, che ha creato alcuni disordini, ma dovrebbe ora disporre di un numero maggiore di cavalli e di uomini.

Ringrazia per la licenza di lettura dei libri di eretici concessa dal papa ad alcuni del suo seguito. «Oltra questa vedo esser molto necessaria la licenza di poter conversare con li heretici perché io non posso fare che alcuni di loro non venghino a parlarmi anco senza bisogno alcuno et a mangiar meco et sicome queste occasioni mi sono chare solamente per il servitio di Dio, il quale cerco ritrarne, così desidero poterlo fare con la concessione di Nostro Signore et senza alcun scrupulo di conscienza».

Commendone non sa con quale fondamento sia stato scritto dalla corte imperiale che nella Dieta polacca non si parlerà di un concilio nazionale né di altri atti in pregiudizio della Chiesa e della religione. Ciò è non solo falso, ma contrario all’evidenza. «Io non posso fare di non scriver le cose come le trovo simplicemente perché questo è il mio debito, et perché veggo che l’allegerire le cose non rende la negotiatione più facile, né il successo più felice».

Gli è giunto particolarmente gradito l’annuncio dell’approvazione da parte del papa dei decreti del concilio di Trento «per poter rispondere a molti ecclesiastici et seculari che quotidianamente me ne dimandavano et per il servitio che si può sperare della publicatione et osservanza d’esso, la qual in questo Regno, per esser tanto contaminato et subverso dall’heresia, forse non sarà così facile come bisognarebbe». Già alcuni ecclesiastici vanno dicendo «che il decreto il quale prohibisce la pluralità qui non è osservabile né utile perché molte chiese sono distrutte et di molte sono cacciati i sacerdoti catholici, i quali sono proveduti altrove senza lasciar i primi beneficii; et molte si conservano per l’authorità de’ nobili che le possedono, i quali non si farebbono di Chiesa per un beneficio solo, essendo per il più mediocre; et che, dandosi a popolari, sarebbono profanate». Commendone ha replicato a queste considerazioni come era opportuno. Jakub Uchański, arcivescovo di Gnesna, gli ha riferito che il re attende «con desiderio il catechismo promesso dal concilio».

Riguardo alla questione dell’immunità degli ecclesiastici, nella seduta del Senato del 20 marzo l’arcivescovo e Filip Padniewski, vescovo di Cracovia, sono intervenuti insieme, risolutamente, affermando che i privilegi delle chiese, sempre conservati con il favore di re e principi, non potevano essere annullati «essendo le chiese immuni per la ragione commune, canonica et civile, et essendo in possesso della loro immunità non dovevano essere astretti a farne altra prova». L’arcivescovo ha richiamato quanto stabilito in merito da imperatori e concili «et passò a dire dei decreti del concilio tridentino della riforma dello stato ecclesiastico et che non farebbe poco a vivere secondo quei decreti senza altra gravezza, poi della restitutione della religione cattolica necessaria in questo Regno con l’osservanza del detto sacro concilio».

È intervenuto allora uno dei nunzi della nobiltà polacca, il quale ha affermato che l’ordine dei nunzi vuole la restaurazione della religione e che il sovrano la promuova. Dopo i discorsi dell’arcivescovo e del vescovo di Cracovia gli altri prelati hanno espresso parere concorde sulle immunità. I nunzi della nobiltà invece hanno addotto ragioni generali e hanno insistito affinché i privilegi delle chiese vengano presentati, secondo i decreti di Petricovia. Entrambe le parti si sono rivolte a Sigismondo II Augusto, che ha chiesto di vedere i privilegi. I vescovi, pur protestando, li hanno esibiti e letti, rifiutando però di sottoporsi alla giurisdizione della Dieta. I nunzi della nobiltà ne hanno richiesto copia, ma i prelati si sono opposti, decidendo alla fine di consegnarli ai cancellieri. «Tutta questa zizzania è nata da li pernitiosi decreti fatti l’anno passato in Petricovia».

Nell’udienza ottenuta ieri dal re Commendone ha trattato tre punti principali. Su quello dell’immunità il sovrano ha affermato di conoscere i privilegi delle chiese che i suoi predecessori avevano sempre rispettato e di non volerli violare o restringere, impegnandosi a sostenerne in Senato la conservazione, in cambio però di un contributo da parte del clero alla Corona, stanti le necessità della guerra e il pericolo comune. Commendone ha replicato che gli ecclesiastici avrebbero sicuramente accordato un aiuto, ma che occorreva «pensare al modo della contributione per fuggire di ridurla a cosa ordinaria».

In secondo luogo Commendone ha chiesto al sovrano l’esecuzione dell'editto di Varsavia del 1557 e ha ricordato come a causa della sua inosservanza siano state profanate chiese, cacciati preti, e commesse ruberie e violenze, adducendo in particolare le recenti vicende di Lublino e le lettere che Mikołaj Radziwiłł, palatino di Vilna, e i nunzi della nobiltà hanno inoltrato ai consoli di quella città. Ha sottolineato che simili episodi, divulgati «per i regni della Christianità» rovesciavano sul sovrano «la colpa dell’audatia di questi heretici». Il sovrano ha ribadito la sua volontà di «rimediar a questi gravi disordini divenuti intollerabili»; ha chiesto quindi di avere copia autentica delle lettere inviate ai consoli di Lublino.

In terzo luogo Commendone ha fatto istanza a Sigismondo per la correzione dei decreti di Petricovia a tutela della giurisdizione ecclesiastica. Il sovrano ha opposto che il punto centrale della questione erano le decime, e «che quel che molto le dispiaceva era che gli ecclesiastici per ogni minima somma venivano all’escomunicatione, et che le parrebbe più espediente che i vescovi trovassero qualche altera via diversa da questa di farsi pagare», obiettando che il decreto contestato è stato «malamente inteso et usato». Commendone ha replicato che la scomunica si utilizza solo quando il caso è molto grave o non si riesce a pervenire all’obiettivo per altra strada e i vescovi polacchi avevano giudicato di non avere «altra via certa d’havere […] le loro entrate». Il decreto andava perciò emendato «in modo che restasse nello stato di prima illesa la giurisdizione ecclesiastica». Il re si è impegnato a farlo.

Commendone ha anche riferito di aver appreso che il maresciallo del Sejm ha definito il sovrano «vicario o luogotenente di Dio in questo Regno», appellativo «che per l’opinioni suscitate in questo Regno havea troppo del scandaloso». Il re ha risposto «esser vero che così lo chiamavano in Petricovia l’anno passato, ma che hora non l’usano, né […] lo consentirebbe». Commendone lo ha quindi informato dei passi compiuti dal papa riguardo alla questione dei beni di Bona Sforza nel Regno di Napoli. «Parlai di Bernardino Ochino a Sua Maestà, dandole avviso di quel che me ne scrive Vostra Signoria Illustrissima et la supplicai a voler proveder che egli non havesse ricetto in questo Regno. Sua Maestà nel rispondermi mostrò d’esser a pieno informata delle sue qualità et che non era bisogno di narrargliele, et mostrò haver il suo nome in abominatione».

Commendone ha ricevuto le lettere inviategli da Pietro Barzi e ha fatto presso il re l’ufficio richiestogli.

Fin dal suo arrivo in Polonia, Commendone ha raccomandato al sovrano, con riguardo alla restituzione dei beni regi, l’Università di Cracovia e i collegi ecclesiastici, che riscuotono entrate sulle saline, e lo ha sollecitato a non far mai mancare il suo contributo a questi istituti.

Oggi in Senato è stato chiesto di porre fine alla Dieta a causa del suo eccessivo protrarsi, della penuria di vettovaglie e del pericolo di liti. Sono stati comunque definiti sette punti:

1) Per trattare l’unione della Livonia sono stati deputati Achacy Czema, palatino di Mariemberg, Stanisław Myszkowski, castellano di Sandomiria, e Jan Kostka, castellano di Danzica

2) Alle trattative per l’unione con la Lituania sono stati deputati l’arcivescovo, i vescovi di Cracovia e Cuiavia, Marcin Zborowski, castellano di Cracovia, Spytek Jordan, palatino di Cracovia, il palatino di Brest, Jan Tomicki, castellano di Gnesna, il castellano di Sandomiria e Florian Kaspar Zebrzydowski, castellano di Lublino

3) Gli esattori delle tasse dovranno rendere conto della loro amministrazione nei distretti della nobiltà

4) Ștefan Tomșa, già voivoda di Valacchia (intendendo Moldavia), fuggito in Polonia, sarà tenuto dal re in un luogo nel Regno «sotto libera custodia».

Sugli ulteriori tre punti – contributo alla Corona per la difesa dei territori, ricognizione dei beni da restituire alla Corona, tempi del passaggio al re degli stessi – non è stata presa una decisione a causa delle differenti opinioni tra i nunzi della nobiltà, i quali, fra loro discordi, «si volsero a trattare dell’immunità degli ecclesiastici per sentire […] la mente di Sua Maestà». Ma una nuova disputa tra Mikolaj Wolski, vescovo di Kiev, e Jan Firlej, palatino di Lublino, ha spinto il re a sospendere il Senato. Si conferma comunque la voce secondo cui le immunità ecclesiastiche non saranno lese.

«Cifra»

Commendone ha fatto presente ai nunzi della nobiltà, tramite i loro confidenti, il pericolo di costringere gli ecclesiastici a dimostrare i loro privilegi e immunità «perché poco poi essi ancora con questo esempio possono essere astretti a mostrar i suoi, li quali non hanno». Alcuni di loro hanno preso in considerazione questo punto e si dice sia nato, per questo, qualche contrasto tra loro.

Durante l’incontro con il re, conoscendo il suo timore di sollevazioni nel Regno, Commendone ha messo in luce «che se lui non diffende hora l’immunità ecclesiastiche è da temere che costoro stessi, che hora impugnano il clero, poco poi accortisi del proprio pericolo, per assicurarsene tentino qualche novità contra la Corona». Ha inoltre ricordato «le ragioni della superiorità temporale che ha Nostro Signore sopra questo Regno». Il sovrano è incerto e ne ha parlato con l’arcivescovo e con Adam Konarski, vescovo di Posnania, temendo forse che casa d’Austria possa sollecitare qualche investitura dal papa.

Commendone cercherà di spingere i vescovi a guadagnarsi almeno alcuni dei nunzi della nobiltà.

Note libere

Due righe di testo depennate e riscritte a c. 42v. Testo cifrato reso in chiaro dal copista cinquecentesco.

Luoghi rilevanti
Lublino