MssCol 603/Lettera 21
- Sottounità / Unità archivistica
- NYPL, Ms. Div., MssCol 603, Registro primo
- Regesto veloce
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Commendone ricapitola le trattative per l’unione tra Polonia e Lituania e aggiorna sui contrasti che dividono i vescovi polacchi
- Tipologia
- it lettera in registro copialettere
- Numero documento
- 21
- Estensione materiale
- cc. 33r-35v
- Mittente
- Commendone, Giovanni Francesco
- Destinatario
- Borromeo, Carlo
- Luogo di redazione
- Varsavia
- Luogo di ricezione
- Roma
- Data di redazione
- 6 marzo 1564
- Edizioni del documento
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pubblicata, in traduzione polacca, in Pamiętniki o dawnéj Polsce z czasóv Zygmunta Augusta, obejmujące listy Jana Franciszka Commendoni do Karola Borromeusza, coll. J. Albertrandi, I, Wilno, Drukiem Józefa Zawadzkiego, 1847, pp. 70-76.
- Regesto approfondito
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Le trattative sull’unione condotte in questa Dieta si sono concluse e Commendone intende ripercorrerne i punti salienti «in breve summa».
Il Senato di Polonia aveva chiesto di rivedere le «confederationi et unioni» fatte in passato con la Lituania. Ognuna delle parti ha però proposto di aderire a un’unione diversa: i polacchi a quella «fatta da Jagellone detto Vladislao» [Unione di Krewo, 1385], i lituani all’altra, conclusa «col vero loro consenso» da re Alessandro Jagellone oltre un secolo dopo [Unione di Mielnik, 1501], ritenendo invalida la prima «essendo essi alhora venuti col loro principe dal paganismo alla fede christiana». I polacchi hanno opposto che l’unione fatta ai tempi di Alessandro non aveva avuto effetto, e che anche i nunzi della nobiltà la rifiutavano. Dopo lunghe discussioni su un nuovo accordo, polacchi e lituani si sono trovati discordi sulla natura dell’unione: «volevano i lithuani far quasi una legha et a l’incontro i poloni intendevano d’unirli et farli parte di questo Regno». Sigismondo II Augusto, nel tentativo di rimuovere gli ostacoli, ha rinunciato per tre volte in Senato, a nome anche della sorella e dei nipoti, ai suoi diritti ereditari sulla Lituania. La difficoltà di trovare una forma di unione gradita a entrambe le parti e le rimostranze degli inviati lituani hanno costretto a rimandare la questione a una nuova Dieta da tenersi a Parzow dopo la festa di San Giovanni. Gli «Stati di Lythuania» si riuniranno prima della Pentecoste [21 maggio] per trattare delle condizioni proposte e deliberare in merito. Gli inviati di Lituania sono stati quindi congedati dalla Dieta e sono partiti.
Quattro sono i motivi che hanno impedito di giungere a un accordo. Il primo è «il parlar immoderato delle parti con l’emulazione antica»; il secondo la convinzione dei lituani che l’esercito polacco, inviato in soccorso contro i moscoviti «habbia tardato a studio il congiongersi con loro»; il terzo la vittoria che i lituani sono riusciti a ottenere da soli, dato che il timore dei nemici era motivo principale dell’unione. Il quarto motivo è «l’animo» di Mikołaj Radziwiłł, palatino di Vilna, capo della legazione lituana, contrario all’unione e accusato pubblicamente da Marcin Zborowski, castellano di Cracovia, di aver impedito agli inviati designati dai lituani di andare alla Dieta, rimpiazzandoli con «altri suoi dipendenti».
Il palatino di Vilna non è partito con gli altri inviati, e vuole far visita ad Anna Jagellona, sorella del re di Polonia, e a Caterina d’Asburgo.
«Si dice che va a certi suoi beni in Polonia, et che in essi vuol profanare le chiese, come ne’ suoi luoghi ha fatto in Lythuania. Non è in tutto questo Regno persona che più oppugni la religione catholica di questo palatino, dato alla più perversa setta che vi sia di trinitarii, et che non lascia occasione alcuna a dietro d’offender l’ordine ecclesiastico et i fedeli con audacia et perversità incredibile, non gli mancando ardire di minacciare con lettere i catholici et d’opporsi anco agli decreti del re». Così ha fatto con la comunità di Lublino, che si è opposta alla predicazione di Stanislao Paclesio, favorito da alcuni nobili che hanno insultato i consoli della città e altri «buoni cittadini». Questi ultimi hanno ottenuto dal re – per intervento di Commendone – un mandato per non essere più molestati nelle loro chiese. «Il che inteso dal palatino di Vilna scrisse ai detti consoli che essi non molestassero i suoi, che egli osa chiamar pii, né impedissero il loro evangelio, minacciando che esso si risentirebbe contra di loro et che voleva col sangue diffendere et mantener i suoi». I consoli di Lublino hanno perciò sollecitato nuovamente dal re un intervento più efficace. Commendone non mancherà d’assisterli.
Lo stesso Radziwiłł ha riferito ad alcuni cattolici suoi confidenti di voler incontrare Commendone, comunicando tale proposito anche a Spytek Jordan, palatino di Cracovia, e «tentando con tutti questi mezzi di scoprir l’animo mio». «Ma io sapendo a che fine egli cerca questi ritrovi, et che non se ne può cavar frutto alcuno, anzi ne seguita danno, indegnità et scandalo dei buoni, nel risponder me ne passava con i generali di dire quanto m’era riferito della grandezza del palatino di Vilna, dell’ingegno et della prudenza sua, et dell’authorità grande che tiene in questo Regno né passava più avanti».
I prelati polacchi non hanno ancora fatto istanza al re per l’annullamento dei decreti di Petricovia a causa di diversi impedimenti. Frattanto vi sono stati, alla presenza del re, gravi diverbi tra Jakub Uchański, arcivescovo di Gnesna, Andrzej Noskowski, vescovo di Plozca, Mikolaj Wolski, vescovo di Kiev. Per questo motivo non è stato possibile riunire tempestivamente tutti i vescovi. Commendone ha quindi chiesto all’arcivescovo e a Filip Padniewski, vescovo di Cracovia, di presentare al re la richiesta di abolire quanto prima i decreti di Petricovia, e dovrebbero farlo domani.
Commendone conferma il suo impegno per la riconciliazione dei prelati, «impresa quasi disperata». I vescovi si scontrano a ogni minima occasione, il clero e i cattolici si lamentano della loro condotta, lodando per contro «la charità et la paterna cura» di Pio IV verso la Polonia. I prelati presenti a Varsavia per la Dieta sono cinque: oltre a quelli già nominati vi sono Wojciech Starozrebski [detto Sobiejuski], vescovo di Chelma. Dionizy Secygniowsk, vescovo di Camenetz, partirà domani nonostante Commendone abbia cercato di trattenerlo giudicandolo «huomo da bene et intiero et pacifico con tutti».
«Altre volte ho scritto a Vostra Signoria Illustrissima quanto sarebbe necessario che fusse in questo Regno facoltà d’absolvere gl’heretici, considerato che molti facilmente cadeno e ritornano, il che non può essere altramente in tanta confusione et licentia quanta è qui; aggiugnesi a questo rispetto un inconveniente maggiore, perché intendo da sacerdoti propri che essi absolvono dall’heresia, non sapendo come poter altrimente sostenere quel poco gregge che li resta vessato et corrotto quotidianamente, sopra di che di più Vostra Signoria Illustrissima potrà vedere quanto mi scrive il vescovo di Premislia [Walenty Herburt]», Rimane perciò in attesa di istruzioni da Roma.
Gli inviati del «principe tartaro», il khan di Crimea Devlet I Giray, protestano, ritenendo che il re voglia pacificarsi con Ivan IV. Vogliono conoscere le intenzioni del re entro «il principio di questo mese» e chiedono di rifondere il loro principe delle spese per l’impegno nella guerra a favore della Polonia. In caso contrario, minacciano, il tartaro invaderà il Regno.
«Cifra»
«Dicendo l’arcivescovo al vescovo di Plozca in Senato che lo faria dar conto altrove di quel che altre volte l’haveva ammonito, intendo che il vescovo di Kiev entrò in mezzo et disse che altrove qui è il nostro giudice et mostrò il re, parole che scandalizorno assai, et tanto più perché nel principio di questa Dieta il castellano di Sandomiria [Stanisław Myszkowski], capo d’heretici, disse in Senato come lui et li suoi seguaci erano veri servitori del re, i quali non davano giuramento ad altro che al re come facean gli ecclesiastici che lo davano al papa. Vorriano gli heretici in somma capitar tanto inanzi che si costituisse in questo Regno, come in Ingelterra Regem esse supremum caput Ecclesiae et che non si pagassero più le decime, le quali due cose cerchano con ogni possibil diligenza. Et vedendo che gli ecclesiastici poco si curan d’altro che delle decime loro, per addormentar li vescovi propongono che si diano i beni dell’abbatie alli vescovi et capitoli in luogho delle decime et già non mancano di vescovi che vi danno orecchio et che mostrano gran volontà di queste abbazie».
- Note libere
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Testo cifrato reso in chiaro dal copista cinquecentesco.